Qualcuno di noi fa finta di niente ma ha scritto un bellissimo articolo...
i robot raccontano il Giappone
Il dopoguerra del paese del Sol Levante narrato attraverso gli anime robotici
Fabio Bartoli
Aiuto, arriva Goldrake!
Quando nell’aprile del 1978 fece la sua comparsa sull’allora secondo canale Atlas UFO Robot (UFO Robo Grendizer, 1975), noto ai più col nome del suo robot Goldrake, la televisione italiana fu investita da un ciclone destinato a ripercuotersi anche sul costume e sulla società tout court del nostro paese. La serie riscosse immediatamente un successo clamoroso tra i piccoli spettatori, dando inizio all’invasione dei cartoni animati giapponesi su cui poggiano le fondamenta di un immaginario generazionale in cui molti giovani adulti di oggi si riconoscono ancora appieno (non a caso Marco Pellitteri ha coniato la definizione “Goldrake-generation”). Come spesso accade però ciò che piace ai figli è mal visto dai padri, i quali giudicarono la serie violenta e innalzarono voci di condanna che giunsero anche nell’aula di Montecitorio, dove Goldrake fu soggetto ad un’interrogazione parlamentare promossa dal deputato Silvio Corvisieri. La radice di questi allarmismi va rintracciata nell’ignoranza dei codici espressivi giapponesi da parte degli adulti di allora, più impegnati a condannare preventivamente la serie che a cercare di comprenderla, stigmatizzandola per una violenza invece magicamente - e pretestuosamente - assente nei cartoon americani coi quali erano cresciuti; ma non solo. Alla base di quelle levate di scudi vi era anche la mancata conoscenza della cultura nipponica, i cui tratti fondamentali necessitano di essere appresi per farsi un’idea del retroterra che si nasconde dietro la figura stereotipata del robot presente in molti anime (così si chiamano i cartoni animati giapponesi). Scopo di questo articolo non è di difendere e rivalutare tali prodotti culturali, opera avviata e sostanzialmente conclusa in questi anni da appassionati e specialisti tra cui soprattutto Luca Raffaelli e il già citato Pellitteri, bensì di tracciare una breve cronistoria dei robot nell’animazione giapponese, cercando inoltre di portare alla luce i significati profondi riguardo la realtà effettiva del paese che essi veicolano all’interno dei contesti fantastici in cui si ritrovano ad agire.
Ma prima un po’ di storia
Uno dei topoi ricorrenti nelle serie animate robotiche è lo scontro tra il robot che difende la Terra e quello inviato dagli invasori alieni che tentano di conquistarla. Questo schema narrativo rispecchia la vicenda reale del Giappone e del suo processo di modernizzazione, avviato dal contatto con gli “invasori” statunitensi dopo secoli di isolamento.
Nel periodo Tokugawa (1603-1867) il paese aveva scelto una politica radicalmente separatista nei confronti del mondo, bruscamente interrotta nel 1853 dall’intimazione dell’ammiraglio Matthew Perry di aprire i porti alle navi americane. Tale richiesta diede vita nell’anno successivo alla stipulazione dei “trattati ineguali” che inferirono un colpo mortale all’orgoglio della terra dei samurai, dando avvio allo sgretolamento del regime Tokugawa e preparando l’avvento dell’era Meiji nel 1868. Questa fu un’epoca di profondi mutamenti per la nazione, che introdusse al suo interno le tecnologie occidentali destinate a mutarne radicalmente il volto. Tale rapporto di emulazione con le potenze straniere, dettato sia da una sincera ammirazione nei loro confronti sia dalla volontà di cancellare l’onta subita con il declassamento del 1854, giunse all’apice con la Seconda Guerra Mondiale, occasione che dal Giappone fu vista come propizia per guadagnarsi il posto nel mondo ritenuto adeguato, ossia egemone in Asia e di pari importanza rispetto alle grandi nazioni d’Occidente. A tale proposito c’è da sottolineare un fatto importante: ancora arretrati dal punto di vista tecnologico rispetto agli eserciti europei e soprattutto a quello statunitense, i giapponesi confidavano non nel proprio armamentario ma nel proprio spirito, percepito come immortale e quindi superiore rispetto alle transitorie risorse materiali degli avversari. [1] Il sogno ispirato dall’idea dell’essenza divina della propria patria, unica generata dalla divinità, [2] si infranse però drammaticamente il 6 agosto del 1945, quando fu proprio un’arma, la bomba atomica, a spazzare via ogni velleità dello spirito incorruttibile. Così, una volta sconfitti, i sudditi dell’imperatore dovettero sperimentare, quasi un secolo dopo l’apertura allo straniero, l’onta del suo insediamento sul sacro suolo della nazione, per di più ridotta all’impotenza in seguito alla forzata smilitarizzazione.
La dialettica con l’invasore, frustrante nella realtà in seguito allo stato di sottomissione del proprio paese, esigeva una sua compensazione nel mondo della fantasia, dove i desideri di riscatto dei giapponesi furono affidati ai loro giganti meccanici, portabandiera di un popolo che iniziò a cercare nell’agone della competizione economica e dello sviluppo tecnologico i successi non ottenuti sui campi di battaglia. Negli anime è quindi un giovane figlio del Sol Levante a difendere il pianeta/patria dagli alieni, pilotando un robot col quale instaura un rapporto simbiotico che segna in maniera indelebile la sua esistenza e la sua personalità. Legame che costituisce un’allegoria della trasformazione successiva al conflitto mondiale subita dal paese, costretto ad aderire sempre più al letto di Procuste allestito dai vincitori.